Alba de Céspedes di nuovo in romeno: la riscoperta di una scrittrice e di una combattente

Nel numero 4 di aprile 2019 della nostra rivista, Iulia Cosma pubblicava un interessante articolo dedicato a una scrittrice italo-cubana ingiustamente dimenticata, Alba de Céspedes, dove si ripercorreva la storia delle traduzioni romene prima e dopo il comunismo, con pertinenti osservazioni riguardanti gli interventi della censura comunista. L'articolo si concludeva con l'invito a riportare quella scrittrice all'attenzione del pubblico romeno con nuove traduzioni. Ora la casa editrice Humanitas risponde a tale invito lanciando alla fiera Gaudemus di questo dicembre il romanzo Quaderno proibito - pubblicato per la prima volta in romeno nel 1969, cioè diciassette anni dopo la sua comparsa in Italia, nella discutibile traduzione di un non italianista, Aurel Lambrino. La nuova traduzione è firmata dall'eccellente italianista Gabriela Lungu.
L'eclissi di questa scrittrice negli ultimi decenni non caratterizza solo la Romania, il cono d'ombra in cui è entrata è la conseguenza di alcuni giudizi superficiali della critica che per un certo periodo ha classificato la sua prosa come sentimentale e femminile, entrambe con connotazioni negative. Niente di più sbagliato! È interessante notare che in Italia il disinteresse si è manifestato proprio nel momento in cui stava iniziando e crescendo la rivoluzione femminista, che ha cambiato significativamente la percezione e il ruolo delle donne nella società italiana. Il suo recente ritorno all'attenzione degli editori stranieri (e quindi anche della casa editrice Humanitas, grazie al fiuto di quella incredibile editrice che è Denisa Comănescu) non è dovuto, come si potrebbe pensare, alla notevole edizione Mondadori (nella splendida collana I Meridiani) del 2011, curata da Marina Zancan; lo si deve, da un lato, all’impegno dei «gender Studies», divenuti una vera e propria disciplina nel cuore della critica letteraria, che riporta in primo piano l’immagine e il ruolo delle donne nella letteratura, e quindi delle autrici ingiustamente emarginate, dall'altra parte alla felice occasione che la misteriosa e celebre autrice Elena Ferrante, tradotta e pubblicata in tutto il mondo, abbia dichiarato che uno dei suoi modelli letterari  era proprio Alba de Céspedes. Fatto sta che dopo questa dichiarazione, a partire dal 2019, diverse case editrici straniere hanno richiesto i diritti di traduzione e di pubblicazine alla casa editrice Mondadori, e dal 2022 la stessa Mondadori ha ripreso a pubblicare i suoi romanzi nella sua collana più popolare, «Oscar Mondadori».
Ma chi era Alba de Céspedes?  Nacque nel 1911 a Roma da madre italiana, Laura Bertini Alessandri, e padre cubano, Carlos Manuel de Céspedes y de Quesada, che all'epoca era l’ambasciatore di Cuba in Italia (e nel 1934 sarebbe diventato presidente di Cuba). I frequenti viaggi della famiglia fanno sì che la ragazza ricevesse un'istruzione privata, incentrata principalmente sugli studi umanistici. Da bambina parla perfettamente tre lingue, italiano, spagnolo e francese, e sente e sentirà sempre di appartenere in egual misura a Cuba (dove suo nonno, Carlos Manuel de Céspedes del Castillo, chiamato dai cubani il "Padre della Patria", fu il primo presidente della Repubblica di Cuba, quello che decretò la liberazione degli schiavi e che iniziò la lotta di liberazione dagli spagnoli, lotta nella quale venne anche ucciso), all'Italia (dove visse e fu attiva nel periodo più fertile della sua creazione) e alla Francia, dove trascorrerà l'ultimo periodo della sua vita e scriverà i suoi ultimi volumi in francese. Iniziò a scrivere da quando era piccola e le esortazioni del padre, che le aveva instillato la fiducia nel proprio giudizio, il sentimento di libertà e di indipendenza e il coraggio di mettersi in gioco, l’aiutarono fin dall'inizio a scegliere la propria strada: “Ho sempre pensato di scrivere, il mio sogno era quello di scrivere, di diventare una giornalista, una scrittrice”. E così è stato.
Nel 1935, all'età di 24 anni, pubblica il suo primo volume di racconti, L'anima degli altri, seguito da poesie che non smetterà di scrivere per tutta la vita. Il 1938 è l'anno del suo trionfo: esce il suo primo romanzo Nessuno torna indietro, che diventerà subito un bestseller italiano e internazionale, sarà tradotto in varie lingue (compreso il romeno) e pubblicato in 33 paesi (compresi gli Stati Uniti, il Giappone e Cuba). In Italia il romanzo riceve l'importante premio letterario Viareggio, che però non le viene assegnato, essendo considerato, dalla censura del regime, antifascista. Inoltre, il regime vieta addirittura la ripubblicazione del romanzo, ma la bravura dell'editore Arnoldo Mondadori, grande amico e sostenitore della scrittrice, riesce ad aggirare il divieto. Il regime si era scandalizzato perché il romanzo proponeva, attraverso il destino dei suoi personaggi femminili, un modello di donna indipendente, libera dai pregiudizi e capace di costruirsi da sola la propria strada, ossia l'opposto dell'ideale fascista della donna madre, angelo del focolare, sottomessa al marito. Grazie sempre ad Arnoldo Mondadori la censura non interviene sul testo, ma interverrà sul film tratto dal libro, lanciato nel 1943. Il libro dà avvio a un periodo di persecuzione politica: per diciassette volte Alba è chiamata alla commissione, mentre la sua casa è costantemente sorvegliata – ed è il momento (voglio dire il momento in cui ci troviamo noi, romeni, oggi, il momento in cui io sto scrivendo queste righe) per ricordare quanto simili tra loro, in ciò che riguarda le libertà individuali, siano dittature apparentemente opposte. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, a seguito del quale l'Italia diventerà teatro di una doppia guerra, Alba de Céspedes collabora con passione con la prima radio libera del dopoguerra, Radio Bari, al programma «Italia Combatte», sostenendo attivamente il movimento di resistenza ed entrando in dialogo con gli ascoltatori sotto lo pseudonimo di Clorinda, la famosa guerriera del poema tassiano La Gerusalemme liberata. E il deciso impegno politico di Clorinda prosegue: nel 1944 fonda e dirige la rivista «Mercurio», mensile dedicato alla politica, alle arti e alle scienze, che apparirà tra il 1 settembre 1944 e il 1 giugno 1948, al quale collaboreranno letterati giovani moralmente impegnati nella lotta contro il fascismo e contro la guerra come Natalia Ginzburg, Libero de Libero, Mario Luzi, Alberto Moravia, ecc., e in cui compariranno traduzioni di autori stranieri di grande rilevanza come  Hemingway, Kafka, Sartre, Oscar Wilde e Virginia Woolf. Nel frattempo, però, Alba aveva pubblicato la raccolta di racconti Fuga (1940) e il romanzo Dalla parte di lei (1949) dove, sullo sfondo della Resistenza, riappare il tema femminile, le limitazioni che costringono la donna e l'indipendenza a cui aspira e di cui è capace. Questo stesso tema la riporterà anche al giornalismo quando, tra il 1952 e il 1960, collaborerà al settimanale «Epoca» dove curerà successivamente due rubriche: Dalla parte di lei e Diario di una scrittrice. Contemporaneamente continua a scrivere così che le appariranno, in ordine cronologico, i romanzi Quaderno proibito nel 1952, Prima e dopo e la raccolta di racconti Invito a pranzo nel 1955, e Il rimorso nel 1963. Tutti questi suoi scritti italiani sono apparsi presso la casa editrice Arnoldo Mondadori. Negli anni Cinquanta e Sessanta viaggia spesso e nel 1967 si trasferisce definitivamente a Parigi. Qui si appassiona ai movimenti studenteschi del 1968, da cui nasce nel 1970 il volume di poesie scritte in francese Chansons des filles de mai (Canti delle ragazze di maggio), ancora una volta incentrato sulle donne. Nel 1973 pubblica il romanzo Sans autre lieu que la nuit, scritto ugualmente in francese, che apparirà in Italia tre anni dopo, nella traduzione dell'autrice, con il titolo Nel buio della notte – romanzo sperimentale, in sintonia con il dibattito di quegli anni intorno al nuovo romanzo, che infiammava la cultura francese. Alba de Céspedes muore a Parigi, nel 1998, mentre lavora con passione al suo ultimo romanzo intitolato Con grande amore, dedicato alla Rivoluzione cubana e a Fidel Castro, da lei considerato l'erede dell'ideale di libertà e di indipendenza promosso da suo nonno. Non c’è quindi da stupirsi se a Cuba Alba de Céspedes è molto considerata, se ha ricevuto post mortem la più alta onorificenza dello Stato cubano, se le è stata intitolata una via nella capitale, e se, in collaborazione con l’Italia, ha istituito nel 2002 il «Premio Letterario Alba de Céspedes».
Ma torniamo alla sua narrativa e soprattutto al volume pubblicato ora dalla casa editrice Humanitas. La narrativa di Alba de Céspedes ha al suo centro la donna, solitamente collocata nel proprio ambiente familiare dove si consumano le sue frustrazioni, dove i suoi sogni svaniscono, le speranze vengono deviate. Non si tratta di femminismo, inteso nel suo lato accusatorio e militante. Si tratta piuttosto di penetrare nell'intimità delle protagoniste, nelle loro menti, nei loro sentimenti e ansie quotidiane. Le protagoniste della Céspedes sono persone che, in genere, non hanno nulla di eccezionale né in sé né nella loro vita, ma siccome intorno a loro ruota una famiglia, una società, analizzate non da un sociologo, ma da un essere che le abita, che le vive dal di dentro, esse forniscono un quadro fine e accurato del mondo di quei tempi, italiano e non solo.
La scrittrice inizia a lavorare al Quaderno Proibito tra il 1948 e il 1951, quando vive la maggior parte del tempo o in America, al seguito del marito, o a Cuba, dove va a trovare la madre. Il romanzo uscirà nel 1952, pubblicato sempre dalla Mondadori. Esso immagina un diario personale, tenuto segretamente per sei mesi (tra il 26 novembre 1950 e il 27 maggio 1951) dalla protagonista, Valeria, una donna di 43 anni. Valeria è sposata, ha due figli grandi, un maschio e una femmina, molto diversi tra loro (non a caso è la ragazza a emanciparsi, costruendo la propria strada con libertà e tenacia), un marito laborioso e affezionato, ma sotto sotto frustrato e insoddisfatto. È una famiglia apparentemente serena e felice, come tante altre, in un modesto appartamento di Roma, una famiglia che deve lottare con le ristrettezze materiali perché i soldi non sono mai sufficienti, una che deve adattarsi ai cambiamenti inerenti alla maturazione dei figli, dove la donna, oltre al lavoro d'ufficio, deve farsi carico anche dell'intero peso delle faccende domestiche. Le esperienze che Valeria affida al diario potrebbero essere definite la crisi dei 40 anni, cioè sembrano quelle normali alla sua età e nell'ambiente sociale specifico, ossia piccolo borghese, in cui vive la protagonista. Ma proprio per questo sono lo specchio più limpido della condizione della donna nell'Italia degli anni '50: del suo confronto con la generazione dei suoi genitori e dei suoi figli, con le altre categorie sociali e con le altre situazioni economiche, delle sue frustrazioni, dei suoi sogni troncati. È la radiografia di una società dove la macchina a raggi X non è fuori dal corpo ma dentro di esso, nella mente e nell'anima della protagonista.
Però il romanzo non è solo un diario, ma un diario proibito. E, secondo me, proprio in quest’aggettivo sta il nocciolo e la grande originalità del romanzo. Il diario inizia con l'acquisto impulsivo da parte di Valeria di un quaderno dalle copertine nere dal tabaccaio (anche Alba de Céspedes teneva i suoi diari in quaderni dalle copertine nere) che lei destina lì per lì a farne un diario, il primo della sua vita, un diario intimo, quindi nascosto agli occhi della famiglia, e comincia subito a scrivervi i suoi pensieri. Volendo però affidare al quaderno le sue confessioni più personali, intime e autentiche, la protagonista deve assicurarsi che il diario non possa cadere nelle mani della famiglia: vi scrive quindi di nascosto, poi nascondendolo costantemente nei più assurdi luoghi della casa, e, cosa molto più importante, ciò le dà costantemente un acuto senso di colpa per il fatto di nascondere qualcosa alle persone a lei più vicine. Questo senso di colpa ossessivo è compensato dalla sorprendente influenza che il quaderno ha su Valeria: perché scrivendo continuamente le sue confessioni, lei si rende conto che la scrittura stessa la costringe ad analizzarsi, a guardarsi contemporaneamente dall'esterno e dall'interno, a giudicarsi, a rendersi conto di come vede se stessa e di come la vedono gli altri, a osservare che dentro di sé lei è molto più spregiudicata, più critica, più incline ai cambiamenti di quanto non sia nei suoi comportamenti sociali, e che, in fondo, lei pensa in un modo tutto suo ma nella società e in famiglia si adatta alle convenzioni in cui è cresciuta e in cui vive. Il quaderno diventa perciò il continuo confronto tra il suo io profondo, pieno di incertezze, paure e insoddisfazioni, e le convenzioni acquisite con l'educazione, con la società, alle quali il più delle volte si adegua con una sorta di rancore. La scrittura sul quaderno nero si rivela quindi l'agente disturbante, destabilizzante della vita della protagonista, quello che la spinge a scegliere mentre lei tende a rinunciare, a rassegnarsi. Lascio la conclusione ai lettori. Ma la lezione subliminale che il romanzo ci trasmette, ovvero il potere della scrittura confessiva di stravolgerci e di trasformarci, mettendoci davanti uno specchio poco lusinghiero, è, credo, il messaggio autentico che l'autrice vuole trasmetterci.






Smaranda Bratu Elian
(n. 12, dicembre 2024, anno XIV)